L’incontro con il Presidente di Quartiere Simone Borsari, svoltosi lo scorso 31 gennaio, ha rappresentato un momento di confronto e di riflessione su importanti tematiche sociali.
Redazione Pilastro2016: Durante questa intervista ha dichiarato di voler agevolare il mix sociale al Pilastro. Ritiene che l’odio di prossimità possa rappresentare un potenziale pericolo del nostro territorio? Se sì, come pensa di monitorarlo e controllarlo?
Simone Borsari La tendenza a fomentare l’odio c’è da sempre. Ci sono persone e gruppi politici che per ottenere il consenso, invece di proporre programmi politici, preferiscono parlare alla “pancia” della gente, fomentando così dinamiche di odio. Non è una novità. Al Pilastro, però, si sono sviluppati nel tempo degli anticorpi.
Il Pilastro è un territorio che da sempre ha accolto, ospitato persone che arrivano da fuori: storie diverse, culture diverse, abitudini diverse. La maggior parte dei cittadini ha sempre lavorato e lavora per unire e non per dividere.
La coesione si è sempre realizzata attraverso la collaborazione tra Istituzioni e Associazioni. E stiamo continuando a impegnarci moltissimo sul tema delle relazioni sociali. Stiamo intessendo rapporti con le associazioni e comunità di origine straniera.
Sicuramente c’è chi fomenta l’odio, ma gli anticorpi democratici ci sono e si stanno potenziando proprio attraverso il lavoro condiviso. In questo territorio stiamo lavorando tanto insieme. Lo dimostra il fatto stesso di essere qui stasera (ndr. anche se in redazione si sente forte la mancanza di persone di origine straniera) e di avere delle progettualità su Mastro Pilastro (Associazione di Comunità). Alcuni progetti sono fortemente innovativi, anche dal punto di vista giuridico. La fase di progettazione e implementazione ha richiesto tempo, ritardando la loro partenza. Ma stiamo condividendo lo sforzo di far nascere la rigenerazione sociale.
RP: E’ indiscutibile che la carenza di lavoro al Pilastro rappresenti un nervo scoperto .
SB Il tema del lavoro è soverchiante. E il rischio che s’inneschi una guerra tra poveri, in un momento di forte crisi economica, di indigenza, aumenta. Amministrazione comunale, Quartiere e Agenzia di sviluppo locale sentiamo fortemente l’esigenza di dare risposte, attraverso le nostre politiche, al tema del lavoro e della formazione. Purtroppo, però, non abbiamo la bacchetta magica e non possediamo l’antidoto per risolvere tutti i problemi delle persone.
Se è pur vero che in questi anni sono aumentati i problemi, è altrettanto vero che è cresciuta la voglia di lavorare insieme e sono aumentati i progetti che hanno puntato alla qualità dei servizi e alla creazione di prospettive di coesione sociale. Un esempio tra tutti la Scuola delle Donne diventata punto di riferimento per mamme straniere e italiane che hanno il piacere d’incontrarsi per condividere.
Non bisogna mai abbassare la guardia. Le risposte che stiamo ricevendo, però, vanno nella direzione giusta. Alla Croce del Biacco, ad esempio, il Centro d’accoglienza non è vissuto come un problema, ma come un’opportunità per cercare una nuova convivenza migliore. Non bisogna confondere i problemi reali con quello che alcune persone, a causa dei loro pregiudizi, percepiscono. I ragazzi del centro d’accoglienza non sono un problema. Sono ragazzi che cercano un punto wireless per comunicare con casa, che hanno voglia di stare insieme in un parco. Ma devono essere coinvolti in una progettualità che li possa far sentire utili per la comunità, nonostante la temporaneità del loro soggiorno nel centro.
RP Il mio dubbio non riguarda certo l’emergenza. L’accoglienza alle persone che arrivano con diritto d’asilo, ad esempio, è sempre garantita. Ma come viene affrontata la fase successiva? Continuare ad aiutare solo gli “ultimi arrivati”, senza aver dato agli altri, quelli giunti prima, gli strumenti per essere indipendenti, non ritiene possa ingenerare dinamiche conflittuali difficili da controllare? Cosa succede quando il “disagio dell’uno” si contrappone e travalica “quello dell’altro”?
Si trovano risposte a banali domande quali: quando terminano le tutele, quando si conclude il progetto, cosa succede? Quando i migranti escono dal centro, dove vanno ad abitare? Al termine del tirocinio, trovano un lavoro che permetta loro di sopravvivere?” Caritas e Parrocchie hanno iniziato a lavorare con questo obiettivo, cercando alloggi e affiancando alcuni di loro alla ricerca del lavoro.
Aggiungiamo un ulteriore elemento: secondo i dati presentati da Acer a dicembre scorso, il reddito medio annuo dei richiedenti casa è di 4000 euro . Nel nostro territorio, perciò, chi ha il reddito leggermente più alto, anche se già inserito da tempo, rischia di essere spostato in altre zone della città. Il risultato è che qui continueranno a essere inserite persone con reddito sempre più basso, in netta contrapposizione al dichiarato obiettivo di creare un mix sociale.
SB È fondamentale evitare l’errore commesso nel passato di concentrare nello stesso territorio un eccessivo disagio sociale. Tutto il progetto dello sviluppo del lavoro di comunità è rivolto a trovare insieme nuove risposte a bisogni, a esigenze di tutela che si stanno trasformando; a costruire un nuovo welfare, a creare e migliore le reti di collaborazione. Le Istituzioni non vogliono essere sgravate da loro responsabilità, ma hanno la necessità di collaborare con le Associazioni e i cittadini in un’ottica di sussidiarietà, facilitando la “messa a sistema”. Dove non arrivi tu arrivo io, se tu hai un’informazione che io non ho la condividi con me, in modo che io possa avere un quadro più chiaro, se tu puoi mettere a disposizione dei volontari lo fai, così che io possa realizzare dei progetti che altrimenti non potrei portare a termine. Lo sviluppo del lavoro di comunità coinvolge chiunque abbia voglia di partecipare, di collaborare. Come Istituzioni vogliamo investire moltissimo nella mediazione sociale, nella mediazione di comunità. In futuro vi saranno dei bandi finalizzati proprio a questo. Tutto questo è un inizio di risposta per contrastare il potenziale pericolo di odio di prossimità al Pilastro.
Sarà sufficiente?
testo di Lorenza Zullo
foto di Marco Monetti
ragazzo straniero
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